
Eraldo Baldini è nato e vive a Ravenna. È antropologo culturale e scrittore di romanzi e saggi. Ci conoscemmo molti anni fa, e con lui ho redatto, nel 2004, la mia Tesi di Laurea Triennale “La Traduzione del racconto: Eraldo Baldini in spagnolo” presso la Scuola Superiore di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori (Università di Bologna, sede di Forlì). In quell’occasione tradussi in spagnolo alcuni dei racconti contenuti nel suo libro “Bambini, ragni e altri predatori”.
Il suo stile ed i suoi contenuti hanno dato vita a un nuovo genere letterario, il “gotico rurale”, ad ambientato spesso nei territori attorno alla nostra città, Ravenna. Spiagge, valli paludose, pinete, campi e l’Appennino Emiliano-Romagnolo sono lo scenario dei suoi racconti tenebrosi e sinistri. La sua narrativa forse non potrebbe esistere se non ricevesse continua linfa vitale dall’immenso patrimonio folkloristico a cui Eraldo può attingere, in qualità di esperto etnografo e ricercatore nel campo dell’antropologia culturale.
Livia: Caro Eraldo, scommetto che nemmeno tu, con la tua fervida intelligenza e le tue competenze, avresti potuto inventare un anno come questo 2020. Eppure, è come stessimo vivendo in uno dei tuoi racconti paradossali e disarmanti, come “Stirpe selvaggia”. O in uno dei tuoi saggi come “Il fango, la fame, la peste”.
Eraldo: In realtà non ci voleva molta fantasia per ipotizzare che prima o poi sarebbe accaduto. Quando incontravo il pubblico presentando il mio “Il fango, la fame, la peste”, dedicato alla storia delle epidemie in rapporto con quella delle carestie e delle fluttuazioni climatiche, affermavo sempre che la domanda non era “se”, ma solo “quando” avremmo dovuto misurarci con una nuova pandemia. Fra me e me, però, continuavo a pensare di avere avuto fortuna: nato nel 1952, appartengo a quella generazione, forse la prima nella storia d’Europa, che nel corso della propria – ormai piuttosto lunga – vita non aveva mai dovuto soffrire per guerra, fame, pandemia. Be’, a quanto pare la “tregua” è finita… e il riscaldamento climatico non si è arrestato, anzi procede e incombe. Temo che quello rappresenterà la fonte di altri disastri.

Immagine: Nelle zone alpine di lingua tedesca (anche quelle site in territorio italiano), il Krampus è un essere demoniaco che accompagna la figura folklorica di San Nicola. In questa cartolina d’epoca, è immaginato come rapitore di bambini.
L: Nel momento in cui scrivo, dilaga un dibattito surreale sull’orario della messa di Natale, sul numero di invitati alla cena della Vigilia, sugli impianti di risalita nelle zone di turismo sciistico e sulle diete per rafforzare il sistema immunitario contro il Covid-19. Dimmi, c’è stato un tempo in cui il periodo natalizio era felice e spensierato!?
E: La data e l’orario della Messa di Natale celebrante la nascita di Cristo sono pure convenzioni: Gesù non è nato nella notte fra 24 e 25 dicembre (nessuno conosce la data vera: la Chiesa pose qui la ricorrenza solo per cristianizzare le antiche celebrazioni pagane del solstizio d’inverno e dei culti mitralici); e tantomeno se ne conosce l’orario. Però, siccome è rassicurante e fa parte del nostro comportamento religioso e “magico”, sentiamo ancora tutto il fascino del “tempo ciclico”, che ritorna puntualmente con i suoi riti, le sue date, le sue scansioni che ci confortano basandosi sul mito dell’”Eterno Ritorno”. Inoltre ricordiamoci che il periodo tra il 24 dicembre e il 6 gennaio, festivo ancor prima della cristianizzazione, mostrava anche un “lato oscuro”, perché ciò che è sacro e numinoso, insieme alle date di importanti “passaggi” temporali (come appunto i solstizi), contempla una criticità che va affrontata e superata con i riti. Be’, qui non c’è lo spazio per dire di più, per cui mi permetto di rimandare a un saggio che ho scritto sull’argomento insieme a Giuseppe Bellosi, edito da Laterza: “Tenebroso Natale”. Il titolo è tutto un programma…
L: Allora proviamo con il Capodanno. In Spagna durante i dodici rintocchi della campana che segnano la mezzanotte del 31 dicembre la tradizione vuole che si mangino dodici chicchi d’uva, lasciando così la nochevieja e ricevendo l’anno nuovo. Sai bene che nutro ammirazione sconfinata e rispettosa per la Scienza e la Medicina ma… abbiamo in Italia, o nella nostra Regione, l’Emilia-Romagna, dei gesti scaramantici tradizionali?
E: Ne abbiamo tanti, a partire proprio da quello che hai citato relativamente alla Spagna. In Romagna, ad esempio, si diceva che il Primo giorno dell’anno, a digiuno, si dovevano mangiare 7 chicchi di uva bianca. Perché la mattina e non allo scoccare della mezzanotte? Perché un tempo, nel mondo popolare e contadino, non si restava alzati a San Silvestro fino a quell’ora. Anche perché il mattino seguente ci si alzava presto, per accogliere i bambini che passavano di casa in casa ad augurare il “Buongiorno, buon anno!” ricevendo in cambio qualche soldino o dolcetto. E l’elenco potrebbe continuare a lungo.
L: E veniamo alla Befana, della quale non credo esista corrispondenza nella cultura anglosassone. Loro festeggiano The Twelfth Night, anche Shakespeare ne scrisse, ma di vecchie che volano sulla scopa, nessuna traccia. Invece nella cultura spagnola il giorno dell’Epifania è quasi più importante del Natale, perché si festeggia l’adorazione dei Reyes Magos che portano i doni ai bambini. Possiamo sperare che la Befana porti qualcosa di buono?
E: Una volta (e ne sono testimone diretto) i regali ai più piccoli (poche e povere cose) non venivano portati da Babbo Natale, che nei tempi lunghi delle nostre tradizioni può essere considerato una new entry, né dai Re Magi, figli della cristianizzazione, quanto dalla Befana, incarnazione e simbolo degli Antenati e dei defunti che, presenti nel tempo magico delle celebrazioni solstiziali , nel buio della Twelfth Night tornavano alla loro dimensione dopo aver lasciato un dono e un pegno di protezione soprattutto alle nuove generazioni che dovevano assicurare la continuità della famiglia e della comunità. Che ci porterà la Befana quest’anno? Dico la verità: non oso pensarlo, visto come stanno andando le cose… Spero che non ci porti il conto da pagare per non avere trascorso le Feste con le dovute precauzioni e con buon senso.
L: Va bene, parliamo di lavoro: hai dei libri in uscita? Che ambito del folklore e delle tradizioni, ancora, ti senti di non aver esplorato in modo esaustivo?
E: Mi piacerebbe dare seguito al mio libro I riti del nascere in Romagna, ed. Il Ponte Vecchio, che descrive le usanze e le superstizioni relative a gravidanza, nascita e battesimo. Vorrei scrivere la seconda e la terza parte di questa che nelle mie intenzioni dovrebbe essere un’opera sul “ciclo della vita” nel nostro folklore, dando prima o poi alle stampe un secondo volume su corteggiamento e nozze, e un terzo su morte e riti funebri. Al momento comunque sto ultimando un saggio, che vedrà l’intervento anche di altri autori, che si intitolerà Uomini e lupi in Romagna e dintorni. Realtà e mito, storia e attualità. In questo caso sarò nella mia veste non solo di etnografo, ma anche di storico e di amante della natura e dei lupi in particolare.
L: Vorrei concludere con un volo dell’immaginazione. Quest’anno Ravenna celebra il Sommo Poeta, ovvero il settecentesimo anniversario della morte di Dante Alighieri. Secondo te come festeggerebbe Lui queste festività, da uomo del Medioevo?
E: Il Dante esule a Ravenna, forte dell’amicale ospitalità polentana e dell’ammirazione e del rispetto che gli tributava la città, ormai fuori dai giochi politici e tutto impegnato da una parte a ultimare la Commedia, dall’altra a godersi la vicinanza di figli e nipoti, riservato e un tantino ombroso com’era avrebbe festeggiato molto sobriamente nell’intimità della casa e dei suoi affetti, lontano da ogni tentazione mondana, e con un pensiero vero e profondo per la dimensione spirituale della ricorrenza.
Forse non avrebbe rinunciato a una passeggiata solitaria in un paesaggio che mi piace immaginare silenzioso e innevato, tra gli ultimi sobborghi cittadini e le propaggini della pineta trasformata in un arabesco di bianca brina.
Proprio a Dante a Ravenna e in Romagna, insieme a Giuseppe Bellosi, ho dedicato un volume uscito recentemente per i tipi de “Il Ponte Vecchio” (Dante in Romagna. Miti, leggende, aneddoti, tradizioni popolari e letteratura dialettale).
Forse il sommo Poeta, essendo appassionato della volta celeste e dei suoi meccanismi e segreti, avrebbe anche, nottetempo, alzato lo sguardo al cielo vivido dell’inverno a cercarvi astri, meraviglie e segni, come in molti ai suoi tempi facevano e continuarono a fare nei secoli a venire, affascinati dal mistero di ciò che “si vedeva in cielo” di consueto o di assolutamente inaspettato e inesplicabile (un argomento che affascina anche me, come storico, tanto che la mia ultima fatica saggistica è proprio un libro intitolato Quel che vedevano in cielo.)
Riferimenti bibliografici:
Saggistica
Baldini, E., Bedeschi, A., Il fango, la fame, la peste, ed. «Il Ponte Vecchio», 2018
Baldini, E., Bellosi, G., Tenebroso Natale, Editori Laterza, 2012
Baldini, E., I riti del nascere in Romagna, ed. Il Ponte Vecchio, 2016
Baldini, E., Dante in Romagna, ed. Il Ponte Vecchio, 2020.
Baldini, E., Quel che vedevano in cielo, ed. Il Ponte Vecchio, 2020.
Narrativa
Baldini, E., La palude dei fuochi erranti, Rizzoli, 2019.
Baldini, E., Stirpe selvaggia, Einaudi Stile Libero, 2016
Baldini, E., Bambini, ragni e altri predatori, Einaudi, Stile Libero Big
Baldini, E., Gotico Rurale, Frassinelli, 2000
Immagini: da collezione privata